Pieve di Cusignano  

 

 

 

 

 

Pasqua

 

Oggi, domenica di Pasqua, presto
Un'improvvisa tempesta di neve
si e' abbattuta sull'isola.
Tra i cespugli verdeggianti c'era neve. Il mio ragazzo
mi ha portato verso un piccolo albicocco attaccato alla casa
strappandomi ad un verso in cui puntavo il dito contro coloro
che stanno preparando una guerra che
puo' cancellare
il continente, quest'isola, il mio popolo,
la mia famiglia e me stesso. In silenzio
abbiamo messo un sacco
sopra all'albero tremante di freddo.
 
Primavera 1938 - Bertolt Brecht

 

 

 

Natale

 Se una nascita deve produrre

tanta prodigiosa bellezza,

allora mi incamminerò con gli altri

lungo la stella che ci hai mandato

a inginocchiare i miei passi

davanti alla famiglia presso la quale

Tu hai scelto di stare

 

 Enrica Passera Baroni


 

Tu ... sei la mia vita !

Vedo due spiriti nell'immensa
prateria della vita
Ancor svelto il passo,
le loro braccia sciolte
segnano l'andare,
mentre i capelli

un'onda disegnano
lunga e uguale
Verso l'orizzonte sono diretti,
dallo stesso punto i  loro occhi
sono attratti
Ritrovano le loro mani
nel camminare
per poi lasciarle andare
nel piacere di poterle ancora cercare.
 Ricorda l'onda di un lontano mare
dove l'acqua nel suo dolce fare
arriva e si ritrae
lascia un segno che poi scompare
lo ricrea , ma mai uguale
 Anche il cuore ha un battimento
lo ritrovi nel respiro della vita
al vertice del quel momento
dove ti trovi a dire:
"tu ... sei la mia vita"

 N


 
Nella memoria dei ricordi
tieni innaffiati quelli belli.
Trattali come fossero alberi,
di quelli lenti a crescere
pronti ai venti, al sole,
ai geli, al tempo.
Come l'ulivo e il castagno
riferimento diverranno 
per il più giovane viandante

N


 

La Poesia di Elisa

 

Un bambino che stava per nascere a questo mondo domandò a Dio:
mi dicono che sto per essere inviato sulla terra...

Come io potrò vivere là se sono piccolo e indifeso?
e Dio rispose" Tra la moltitudine degli angeli , io ne ho scelto uno speciale per te.

Sta aspettandoti e si prenderà cura di te."
"Ma dimmi: qui in cielo io non faccio null'altro che cantare e sorridere e ciò è sufficiente per essere felice.

Come potrò capire quando mi parleranno se io nemmeno conosco la lingua che le persone parlano? "
" con tanta pazienza e amore il tuo angelo ti insegnerà a parlare"
"ho sentito dire che sulla terra ci sono degli uomini cattivi.

Chi mi proteggerà"
"Il tuo angelo ti difenderà anche con il rischio della propria vita"
"ma io sarò sempre triste perchè non potrò più vederti"
" il tuo angelo sempre ti parlerà di me ti insegnerà il modo di venire a me e io sarò sempre dentro di te"
in quel momento in cielo si fece molto silenzio, e le voci della terra si potevano sentire.
il bambino avvicinandosi chiese sottovoce:

Oh Dio , io sono pronto per partire, ma dimmi, per favore, il nome del mio angelo"
e Dio rispose: chiamerai il tuo angelo, MAMMA! 

Elisa


 

Il Carnevale di Roberta

 

Quella sera a Gabbiano

c'ero anch'io.

Era un tempo sospeso.

Il tempo dell'infanzia,

quando si giocava

festosi attorno al falò,

si salutava il carnevale

che se ne andava

con le ultime scintille del fuoco.

Ed era già nuova attesa.


 

Il giorno prima delle nozze

 

La data importante è domani !

Domani mi metterò l'abito nuovo con le scarpe nuove.

Mi incamminerò verso ""la bassa" per essere vicino al mio "bambino".

Che giorno sarà domani ?

Momenti di gioia e di malinconia si alterneranno mentre i ricordi cercheranno di dare spazio a buoni auspici.

Momenti in cui pensi che una parte di tè se ne vada ed altri nei quali vedi la continuità di te stesso che prosegue.

 Una prova mai affrontata con emozioni mai vissute  dovranno essere portatrici di gioia e serenità.

 Quando nacque pareva un ragnetto tutto rosa e raggrinzito, lo vedo ancora mentre ripeto il verso che fece mio padre con me nel prendermi una manina e confrontarla con il suo pollice. Ora è un uomo, ma per ma rimane sempre quel cosino per il quale vorrei ancora essere utilmente indispensabile.

 Non può essere così, e lo sappiamo, ma l'egoismo dell'amore mi rende vulnerabile e fragile.

 Domani sarà il giorno !

Alle ore undici sarà già sposo.

 Io e sua madre siamo qui che aspettiamo il decollo, applaudiremo alla partenza, rimarremo col cuore sospeso durante i vari giorni d'orbita e ci risveglieremo al rientro.

 Quante cose cambieranno ?

Forse tutte e nessuna, probabilmente sarà come un terremoto che dopo ulteriori colpi di assestamento verrà dimenticato e la vita andrà avanti accompagnata dagli stessi profumi dei boschi e dagli stessi canti degli uccelli . 


 

CANTO IL SOGNO DEL MONDO


Ama saluta la gente - dona, perdona - ama ancora e saluta.

Dai la mano, aiuta, comprendi, dimentica e ricorda solo il bene.
E del bene degli altri godi e fai godere.
Godi del nulla che hai del poco che basta giorno dopo giorno e pure quel poco, se necessario, dividi.
E vai, vai leggero dietro il vento e il sole e canta.
Vai di paese in paese e saluta saluta tutti il nero, l'olivastro e perfino il bianco.
Canta il sogno del mondo che tutti i paesi si contendano di averti generato.

“di padre Turoldo”

segnalata da Elisa


Una serata di nebbia

 

E' tardi, anzi no, è buio da tempo.

L'autunno impone le sue regole e la sera nella campagna scende veloce, tutto si perde nella nebbia.

Questo fenomeno in città non viene avvertito nel tempo reale perché le luci dei lampioni e le luminarie illuminano tutto.

Prolungano la vita.

Apro la finestra e vedo solo le piante del giardino, con le foglie rossastre, umide, appesantite, domani cadranno.

Più in là, grigio pesto, nebbia.

Si sente un gran rumore, certo, è l'autostrada, con il traffico che scorre inarrestabile, invisibile!

Una persona d'altri tempi direbbe che sono gli aerei che vanno a bombardare, o una colonna motorizzata in transito, che avanza.

Quand'ero piccolo la nebbia di sera voleva dire anche silenzio. 

Una cortina impenetrabile, che avvolgeva il cortile di casa, spariva anche la barchessa, mentre il portichetto che ospitava il pollaio e il porcile, si intuiva lì, segnalato dal fruscio causato dalle galline che tardavano a trovare sistemazione sui trespoli.

Poi il nulla.

Nella stalla le vacche si coricavano sulla paglia messa da poco, asciutta, invitante.

Ci si andava dopo cena, io mi coricavo fra loro, mentre mio papà cantava il testamento del Capitano.

Non si scomponevano, al massimo succedeva che quella a cui voltavo le spalle  mi dava una leccata che mi buttava sulla pancia dell'altra. Continuavano a ruminare.

I vetri erano bagnati per effetto della condensa, e la porta, di ferro, che dava accesso alla concimaia, pure era bagnata.

Se si apriva, la nebbia guadagnava la soglia velocemente, e si vedeva proprio che entrava.

E con essa anche il freddo, che infastidiva le vacche, in particolare le più vicine.

La chiusura ripristinava la quiete.

Poco male, anzi, se penso alle isbe descritte da Bedeschi, dove gli alpini si rifugiavano a centinaia, per riposare pochi minuti,  ed inveivano ogni qualvolta si apriva la porta!

E poi, non avevano neanche la paglia!


Sono i ricordi di una infanzia vissuta in campagna, e che belli.
Irripetibili, nemmeno più possibili perchè le stalle ora sono diverse, ma forse, anche i bimbi oggi sono diversi.

Solo la nebbia è rimasta quella di prima, e meno male!!

Tino (da Fontanellato)


 


da “ IL RISVEGLIO” DEL 29/MAGGIO 1959

Monte Mannolo: angolo della Madonna della nostra terra

RITORNO AL SANTUARIO

 

Ho veduto tantissime di quelle valli in cui si fraziona la dorsale appenninica dalle Alpi alla Calabria nel suo declinare verso le pianure dei grandi fiumi od i litorali del mare, ma poche hanno, a mio avviso, la vaghezza, la bellezza composita -di carattere architettonico -della valle del torrente Parola nella zona di Pieve di Cusignano.

Bellezza. di collina, aggiungo subito, rimanere fuori da ogni confronto con la bellezza delle Alpi, di e tutt'altro genere.

La valle del Parola, sfocia a Pieve di Cusignano come per dar pace al capriccioso torrentello, lasciandolo libero di serpeggiare disordinatamente dopo aver conosciuto le angustie del percorso a monte fra aspri versanti di alte colline, breve vacanza in campo aperto prima di sottostare all’umiliazione di ridursi a squallido fossato nel successivo tratto di pianura.

A Pieve di Cusignano il plastico collinare è di una modellazione morbida ma assai variata; il giuoco dei contrafforti crea una serie di prospettive singolarmente felici e complessivamente armoniose, e la chiesa posta nel miglior luogo di osservazione che abbia il fondo della valle, sembra esservi stata messa da un intelligente interprete del paesaggio.

Anche i tanto deprecati calanchi che sono la piaga delle colline argillose  dell’Emilia tutta, inseriscono nell’ambiente di Pieve di Cusignano, un elemento visuale alquanto pittoresco.

Cominciano dall’alto colle del Germino e scendono, col nome di Grindini  verso il torrente Parola in una spettacolare successione di creste falcate e ,sottili, col colore biancastro dell'argilla pura messa a nudo e facente spicco sul fondo del monte. Ancora pochi decenni or sono, i «Grindini» prospettavano sul torrente, in vista di tutta la valle, una grande parete triangolare che era la cosa più singolare del paesaggio, la caratteristica tipica della valle.

Lambita alla base dal torrente, quella parete, veduta dal basso, appariva immane, prospettante nel cielo il profilo tagliente della sua cresta che degradava in una serie di vertici e di festoni.

Al di qua del torrente, il piano perfetto dei campi del beneficio parrocchiale, oggi eguali a quelli di una qualunque zona del Po, ma ancora, una trentina di anni fa adorni di grandi pioppi dalla chioma sferica, con fossi ricchi di giunchi e di gamberi e con riquadri coltivati a cocomeri, che vi crescevano meravigliosamente.

Il tratto di torrente che sta fra i Grindin e i Blon ( così si chiamavano e farse ancora si chiamano quei campi) per me, ragazzo di un tempo non smagato dalla volgarizzazione del mondo che operò la fotografia e quindi il cinematografo, aveva un aspetto fiabesco e misterioso.

Nelle acque chiare e querule del torrente brillavano sassi di bellissimi colori e balenavano argentei riflessi di prudentissimi pesciolini, preda ambita dei miei ingenui tentativi di pescatore.

Tra le sabbie e le ghiaie affioravano conchiglie fossili, a me care come rarità preziose, evocatrici del mare che qualche milione di anni prima sovrastava quella terra.

Nel greto del torrente e nelle sponde melmose le vegetazioni delle erbe e delle piante amanti dell'umido prosperavano con vigore esplosivo, creando miniature di selva vergine fra le quali non mi sarei sorpreso di vedere. emergere gli elmi pennuti dei Pellirosse.

Ma anche al di fuori delle fantasie della mente infantile, quel luogo era di una bellezza assoluta, tale da reggere al confronto con quelle più celebrate dalle guide turistiche di ogni Paese del mondo; e ho detto era poiché le cose sono cambiate e, come sempre succede quando l'uomo mette le mani nel bello. di Natura, in peggio, in molto peggio.

All’estremo della latitudine meridionale e dell’altitudine di Pieve di Cusignano sta il santuario di  Monte Mannolo», sulla vetta di un colle che non tocca i 300 mt., dalla cui sommità l’occhio spazia sulla pianura del Po, fino alla cerchia delle Alpi.

Fino alla prima Guerra mondiale vi era un modesto sacello, poi ampliato, secondo un progetto di costruzioni rimasto incompiuto.

Esso accoglie una Madonnina con Bambino a bassorilievo di ispirazione raffaellesca in marmo di Carrara, di buona fattura.

Vi salivo da fanciullo tutti gli anni, movendo da Pieve di Cusignano, come ad impresa alpinistica, iniziandomi alle suggestive sensazioni dell'ascendere e di scoprire orizzonti sempre più vasti per cammino sempre più arduo. Ad un certo punto si incontrano i primi fiori che la pianura non. può accogliere nella sua atmosfera greve, e sui sentieri di Monte Mannolo conobbi cosi, per la prima volta, le rosse corolle del garofano selvatico.

Dalla vetta mi apparve anche per la prima volta la vista di un castello meraviglioso, nella specie del castello di Tabiano, che si presenta a chi guarda Monte Mannolo, nella sua parte migliore, sbucando con torri merlate oltre lo schermo visuale di un colle interposto.

Quante ingenue preghiere non rivolsi mai a quella soave Madonnina !

«Bisogna pregare e fissarla intensamente a lungo -mi diceva la zia Angiolina che abitava a Cà dè Rossi, in Pieve di Cusignano - quel Bambin  Gesù, e lo vedrai diventar color di rosa e sorridere». Questo non accadde a me, ma doveva certamente accadere ad altri, perchè il Miracolo quotidiano e la fede lo genera di continuo.

Sono ritornato a Pieve di Cusignano, dopo più di trent'anni, oramai sconosciuto a tutti.

Il disboscamento aveva compiuto altre tappe e il tempo aveva devastato altre cose, irriconoscibile il Parola, pieno di erbacce e  rigato soltanto da periodiche acque fangose che recano al piano la superstite terra fertile dell’alta valle.

Scomparsa l'attività dell'antico mulino ad acqua così pittoresco.

Scomparsi i pioppi gemelli di villa Zinani, i salici de I Blon ed il gigantesco gelso accanto al ponticello che portava al sagrato della chiesa.

Nel piccolo cimitero, che mastro Bacchini ingrandì nel 1910 provvedendolo di un bel muro di sassi squadrati a martello, tutti i miei conoscenti, parenti ed amici.

L' osteria e il negozio dei Pietralunga disertati, grazie al motorismo diffuso per la sempre più vicina Fidenza

Era un emporio provvedutissimo dove era possibile acquistare dai bottoni alle museruole per i buoi, dalla coppa emula del miglio culatello alle biciclette marca Perfecta.

Perfino i Grindini erano irriconoscibili, messi a cultura per ricavare a prezzo di sproporzionata fatica, poco e cattivo grano ed erba da foraggio.

Mi misi di gran Lena a percorrere la strada per Banzola che conduce anche al santuario di Monte Mannolo.

Basse nel celo dalla parte di Banzola venivano, nel pomeriggio di primavera inoltrata, nubi foriere di tempesta.

Raffiche di vento contrastavano il passo, recando un intenso profumo di terra fresca e di gaggie in fiore.

Ad un certo punto la violenza del vento divenne vorticosa e l'aria fu piena di polline, di petali, di frammenti minuti.

Mi venne fatto di pensare ad una leggenda dell' Adriatico secondo la quale Le anime dei morti si addensano in turbini e investono, durante le bufere, i viaggiatori del mare.

In effetti ero, relativamente al mio mondo, anche io sotto una raffica di ricordi che attingeva ad un mondo di morti.

Raggiunsi il santuario e rividi l’estatica figura della Madonnina soavemente volta al Divino Fanciullo, ma la preghiera fu breve, poiché fuori minacciava la pioggia e con grande violenza.

Cercai qualche fiore di garofano, lo gettai all'altare ed uno lo tenni per ricordo di quella visita che non avrei forse più ripetuto.

Poi, inseguito da gocce di pioggia rade e calde come lacrime, mi misi sulla via del ritorno, correndo verso Pieve, dove alfine si scatenò la pioggia, velandomi di  grigio l'ultima visione della pieve  e delle  sue ammirevoli colline, come se si chiudesse il sipario dopo la rappresentazione di un mondo perduto.

 

Paolino Ferrari

 

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Aggiornato il:  31 marzo 2018