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Le terre
di Pieve di Cusignano ebbero l'influenza del dominio dei Pallavicino
per cui
vi proponiamo un tratto di storia di :
UBERTO
PALLAVICINO, DETTO IL GRANDE
Elisa Denti
Nato nel 1197, Uberto Pallavicino,
detto il Grande, divenne famoso come capo dei Ghibellini in Italia nel XIII
secolo, in un secolo segnato come dice il Seletti dalle “guerre di municipio
contro municipio”, dagli “intestini dissidii” entro le stesse mure delle singole
città, dalle lotte dei nobili contro i popolani da cui “sorsero le Signorie a
danno dei liberi comuni”. Nel 1233 infuriava a Piacenza la guerra civile e i
nobili fuorusciti vennero combattuti dai popolani guidati da Guglielmo Landi e
Alberto da Fontana, nonché aiutati dal Comune di Cremona, che aveva mandato il
Marchese Uberto Pallavicino. I popolani vittoriosi premiarono quest’ultimo con
mille lire. Inoltre nel 1235 ad Uberto venne conferito la carica di podestà di
Piacenza, che tenne però solo per un anno, allontanato da una sommossa popolare
istigata dal Legato Pontificio. Intanto Federico II, nipote del Barbarossa, era
succeduto sul trono imperiale ad Ottone IV nel 1220 e, approfittando delle lotte
civili italiane, aveva posato gli occhi sulla penisola, ma i Lombardi, fiutando
il pericolo, si erano nuovamente raccolti a Mosio nel Mantovano nel 1226,
rinnovando per venticinque anni la Lega Lombarda. Di ritorno dalla Palestina,
Federico nel 1230 mise al bando dell’impero la Lega Lombarda e si apprestò a
calare in Italia pensando di unificarla sotto di sé con Roma per capitale e di
associare a questa sua impresa i Signori ghibellini più potenti. “Fu in allora,
che il Federico II Fuit vir largus, curialis, probus et sagax in proelio: rexit
enim per longum tempus totam partem imperii in Lombardia et in Tuscia. Fuit uno
tempore Dominus civitatum Cremonae, Mediolani, Brixiae, Placentiae, Tordonae,
Alexandriae et pro eo faciebant sicut volebat Papienses, Pergamenses, Parmenses,
Mutinenses, etc. Codagnello, Cronaca Placentina Federico II Statua di Uberto il
Grande, opera dello scultore Giovanni Ferrari, eretta in Prato nel 1786 a cura
di Muzio Pallavicino. Pallavicino si scoprì partigiano dell’Impero mettendosi
agli ordini di Federico II”: andò ad incontrarlo sino a Padova; nel 1239 fu
nominato Podestà in Pavia; si impadronì quindi di Villafranca e assediò Fidenza;
diventò Podestà a Reggio nel 1246. Tutta questa opera di Uberto a favore di
Federico II gli procurò numerose scomuniche dalla corte Papale di Roma e Parma,
aiutata da Milano e da Piacenza, nel 1247 si diede nelle mani dei Guelfi.
Arriviamo così al famoso assedio di Parma, quando “l’esercito imperiale si mise
a devastare e uccidere in ogni castello, che fosse dei Guelfi; in questo assedio
si ricorda pure il marchese Pallavicino con le sue truppe”. Avvicinandosi
l’inverno e dovendo acquartierare l’esercito, Federico fece costruire vicino a
Parma una nuova città, chiamandola Vittoria. Sicuro del successo, l’Imperatore
perdeva tempo a caccia: si trovava proprio a Busseto il 18 Febbraio 1248 per la
caccia del falco, quando i Parmigiani assalirono e vinsero il nemico; lo stesso
Federico da lontano vide il fumo della città di Vittoria incendiata e dovette
ritirarsi oltre il Po a Cremona, seguito fra gli altri anche dal Marchese
Uberto. Alcuni annotano che durante l’assedio Federico II venne per due volte a
Busseto. Emilio Seletti dice di conservare una moneta d’oro, detta Augustale,
“che porta scolpita nel diritto colla leggenda CESAR AUG. ROM. , e nel rovescio
+ FRIDERICUS. con un’aquila nel campo” : detta moneta trovata nelle rovine di un
muro della sua casa paterna ora Levi, situata nella via Affò N. 411 sopra il
terraggio a ponente, fa pensare alla nostra guida che qualcuno forse volle
lasciare un ricordo della casa dove alloggiava l’Imperatore. Nel 1249,
riorganizzato l’esercito, Federico 2° ripassò il Po e mosse contro i Milanesi
che con i Piacentini andavano a difendere Parma; lo scontro però non avvenne,
Federico si recò a Pisa dove il 9 Maggio 1249 procedeva all’investitura del
dominio Pallavicino in favore del Marchese Uberto. Nel diploma imperiale sono
elencati i possessi del Pallavicino nelle Diocesi di Cremona (Busseto, Zibello,
S. Croce, Ragazzola, Tolarolo, Polesine), Parma, Piacenza, Volterra. Caduto Re
Enzo, figlio dell’imperatore, prigioniero dei Bolognesi, Federico si ritirò nel
Regno di Napoli e nell’Ottobre 1250 da Foggia inviò al fedelissimo Uberto un
altro diploma, con cui gli donava nuovi privilegi e Busseto col suo territorio
si configurava come una Signoria svincolata da qualsiasi altra città della
Lombardia: è forse questo il primo atto ufficiale della esistenza dello Stato
Pallavicino. In quello stesso anno Uberto fu eletto Podestà di Cremona e, in
forza di questo potere,rafforzò il castello di Busseto capitale della sua Marca.
“Busseto deve a questo Uberto il suo ampliamento e le migliori sue
fortificazioni, così la riedificazione della superba Rocca”, scrive il Seletti,
che cita anche Pietro Vitali, il quale ricorda che in quell’epoca Busseto si
estendeva a mezzogiorno a partire da dove oggi c’è il Monte di Pietà e arrivava
sino alla porta di S. Maria. Nelle costruzioni militari del Medioevo c’erano di
norma due sole porte, la “porta de mane” e la “porta de sero”. Anche a Busseto
c’erano queste due porte o pusterle, ricavate nel piede di una torre quadrata,
sormontata dal ballatoio e dai merli, mentre il ponte levatoio ne sbarrava
l’entrata. Seguiamo la descrizione di Emilio Seletti: “una larga fossa esterna,
ancora esistente, che al bisogno provvedevano colle acque del canale Pallavicino,
girava le mura, che difendevano il terrapieno, detto terraggio, dalla terra
dello scavo; oltre la fossa verso la campagna vi erano redefossi e fosse con
mura e palancati; agli angoli del paese vi si vedono… delle grosse torri
circolari…compite dai soliti merli, e lungo le mura si contano dei barbacani,
delle feritoie”. Corrado IV col padre e la terza moglie Isabella La nostra
guida passa poi a descrivere la Rocca, “il principale edificio per difesa ed
abitazione dei Signori di Busseto”: costruita a Nord del paese, era circondata
da una fossa e un lungo ponte levatoio immetteva nella bassa torre abitata dal
castellano; da qui partiva “un primo cerchio di mura con feritoie, munito di sei
robuste torri” e in quella a sinistra, guardando dalla piazza, c’era una
casamatta da dove iniziava una strada coperta sottoterra che arrivava in
campagna; “un bastione interno proteggeva il fabbricato del castello
signoreggiato nel mezzo da un torrione merlato al cui maschio fu in tempo
posteriore…aggiunta una parte dove fu collocata la campana per le chiamate del
comune”; “nel basso di questa torre vi era la porta difesa in allora dalla
saracinesca piombante, che metteva nel cortile principale”; in questo gran
cortile c’era, prima di lasciare il posto al teatro costruito nella seconda metà
del 1800 il portico detto dei Paladini; nel 1534 il marchese Girolamo
Pallavicino fece costruire nella rocca un oratorio dedicato a S. Giorgio.
Riprendendo il discorso sulle imprese del marchese Uberto, sappiamo che il 18
Agosto 1250 si impadronì di Borgo San Donnino e poi continuò la sua marcia verso
Parma, dove ingaggiò una micidiale battaglia: Parma perdette il suo carroccio e
alcune migliaia di cavalieri e pedoni furono condotti prigionieri a Cremona,
dove in gran parte trovarono la morte “nel fondo delle torri” e i pochi
superstiti furono restituiti a Parma dopo che furono strappati loro gli occhi.
Il 13 Dicembre 1250 a Ferentino moriva Federico 2°. Al figlio Corrado di Svevia
Uberto promise la sua fedeltà e come risposta ottenne dal castello di Canusio in
Puglia il Febbraio 1251 un diploma, con cui venne nominato vicario imperiale in
Lombardia. Sempre nel 1251, lasciato il posto di Podestà al nipote Ubertino, il
nostro Marchese occupava la Rocca di Rivergaro e il castello di Brescello. Nel
1252 Uberto volle presentarsi come uomo di pace, tentando di mettere d’accordo i
Nobili e i Popolani di Piacenza, offrendosi come piacere ai Parmigiani, come
mediatore di pace a tutte le città della Lombardia. Successivamente, nel 1253,
concluse con le città di Genova, Marsiglia e Montpellier un trattato di
commercio molto importante. Acquistata Pontremoli dai Malaspina, gli giunse da
Napoli nel Giugno 1253 una nuova amplissima investitura di dominio per sè ed
eredi da parte di Re Corrado. Uberto nel 1254 divenne Signore di Piacenza e
subito fece atterrare tutti i castelli e i forti del Piacentino che potevano
servire da difesa ai Guelfi. Sempre in quell’anno si fece eleggere Podestà di
Pavia e radunò a Bergamo i delegati delle città di Tortona, Pavia, Piacenza,
Parma, Cremona, Brescia e Bergamo per unificare il sistema monetario. Venne
fissata una moneta nuova, che era di tre specie, grossi, mezzani, medaglie; la
convenzione, che doveva durare inizialmente per due anni, fu però ben presto
violata dai Parmigiani che impicciolirono il grosso. Si realizzò in quel periodo
un’alleanza tra tre famosi Ghibellini, Ezzelino da Romano, Buoso da Dovara e il
nostro Uberto Pallavicino: questo triumvirato spaventò tutti i Guelfi d’Italia e
il papa di allora Innocenzo 4° indisse contro questi Eretici addirittura una
crociata; il nostro Uberto venne definito “nemico di Dio e della chiesa”. Nel
1255 il Pallavicino oltre che esserne Podestà ottenne la Signoria di Pavia,
mantenendo pure quella di Cremona. L’anno dopo, 1256, fu per lui non del tutto
fortunato, perché s’era creato un partito contrario in Piacenza e non era
riuscito a piegare la città di Mantova. Nel 1257, in seguito a una nuova
scomunica di Papa Alessandro 4° nei confronti di Uberto, ci fu una sollevazione
del popolo di Piacenza, che scacciò dalla città il Ghibellino, il quale per
rivincita mise a ferro e a fuoco tutto il territorio da Cremona a Piacenza. Le
lotte interne nelle città tra partiti avversi portano alla perdita della
libertà: nel 1258 il conflitto a Crema tra le famiglie dei Benzoni e dei
Gambazocchi consentì a Uberto di diventare, richiesto, Signore della città.
Sempre in quell’anno, il 28 Agosto, avvenne in riva all’Oglio a Corticella
un’importante battaglia tra l’esercito di Ezzelino e Uberto e quello dei
Bresciani, Mantovani e degli altri Guelfi. Vinsero i Ghibellini ed ottennero
come bottino la città di Brescia. “L’ingordigia del potere fece però, che l’uno
pensasse alla rovina dell’altro e il condominio di Brescia doveva essere la
favilla di loro rottura”. Accadde che il furbo Uberto si staccò da Ezzelino, che
voleva l’intero governo di Brescia, e passò nel campo dei Guelfi Milanesi,
trascinando con sé Buoso da Dovara con i Cremonesi. Siamo ormai nel 1259 e il
Seletti riferisce che un frate assolse Uberto dalle precedenti scomuniche. Il 16
Settembre di quell’anno avvenne uno scontro a Cassano d’Adda, che vide
soccombere l’esercito di Ezzelino, il quale colpito gravemente al capo e fatto
prigioniero di lì a poco morì. Intanto Uberto, perse le città di Piacenza e di
Pavia, conquistata nel frattempo Brescia nella quale aveva lasciato come vicario
suo nipote Visconte Pallavicino, desiderava ardentemente di impossessarsi di
Milano. Ottenuto nel 1260 il Rettorato, per cinque anni diventò capitano
generale della Repubblica Milanese, nominando come suo vicario il nipote Enrico
dei Marchesi di Scipione. Nell’Aprile del 1261, grazie all’opera del conte
Ubertino Landi e del Vescovo Filippo Fulgesio, il nostro Uberto fu riammesso al
governo di Piacenza ed entrò nella città da Principe. Venne inoltre nuovamente
chiamato a Cremona, dove lasciò come vicario il nipote Visconte Pallavicino.
Sempre in quel tempo fece accettare dai Milanesi come Podestà un suo parente,
Guglielmo Pallavicino. Resasi poi vacante la sede arcivescovile di Milano, Papa
Urbano 4° vi elesse nel Luglio 1262 Ottone Visconti, il quale si propose di
abbattere il potere dei Torriani e dei Pallavicino per creare una Signoria per
la sua famiglia. Questo tentativo fu però rintuzzato e i Della Torre con il
Pallavicino ribaltarono la situazione e si impadronirono dell’arcivescovato e
dei suoi beni. Nel 1263, dopo aver vinto gli esuli Milanesi uniti al Visconti
Uberto si volse alla conquista di Parma; prevalse tuttavia allora “il buon senno
dei Parmigiani… a far satollo in qualche modo l’ingordo Ghibellino gli offrirono
un’annua pensione di mille…lire imperiali, non che di aiutarlo d’armi ne’ suoi
bisogni a condizione di non metter piede in Città…”. La fortuna di Uberto stava
però per concludere il suo ciclo. Nel 1264, terminato il quinquennio della sua
Signoria su Milano, fu allontanato dal potere in città e con lui il nipote
Ubertino. Il nuovo signore di Milano, Filippo della Torre, per fronteggiare il
Pallavicino animato da spirito di rivincita si alleò con Papa Urbano 4°, il
quale aveva chiamato in Italia dalla Francia Carlo d’Angiò allo scopo di
ostacolare Manfredi di Svevia nel regno di Napoli. Carlo d’Angiò Manfredi Ottone
Visconti Nonostante i tentativi dei Ghibellini tesi ad ostacolare
l’entrata di Carlo d’Angiò in Italia, questi discese lungo la penisola e nella
battaglia di Benevento il 25 Febbraio 1265 sconfisse Manfredi che morì. La
sconfitta risultò assai dannosa per i Ghibellini, Uberto in testa, il quale in
breve spazio di tempo perdette Brescia, Alessandria, Tortona e a stento riuscì a
conservare Piacenza: siamo nell’anno 1266. Ritenendo poi la città di Parma come
un punto strategico per ristabilire il suo potere l’assalì il 28 Marzo 1266, ma
il partito papalino, guidato da Giovanni Barisello, sarto di mestiere, lo
sconfisse e lo stesso palazzo di Uberto in Parma, vicino a S. Alessandro, fu
raso al suolo. Le cose si mettevano male per Uberto: gli ambasciatori del Papa
si misero d’accordo col Dovara, offrendogli la Signoria di Cremona; Uberto,
costretto a lasciare anche Piacenza, si ritirò a Borgo S. Donnino e intanto i
Guelfi di Parma muovevano contro di lui occupando i castelli di Noceto, S.
Secondo e Soragna, successivamente impadronendosi anche di Tabiano, Bargone e
delle Alpicelle. A salvare momentaneamente il Pallavicino fu però lo stesso
Buoso da Dovara, che voleva cacciare da Cremona il legato pontificio e per
questi si era attirato contro i Guelfi che assediavano Uberto. Costui colse
pertanto l’occasione per passare al contrattacco e conseguire l’ultima sua
vittoria in quel di Medesano. Fu comunque un successo di breve durata, perché i
Guelfi ripresero l’iniziativa occupando altre località. “Sollecitato da Uberto e
dagli altri Ghibellini, scendeva frattanto in Italia l’infelice Corradino,
ultimo della casa dei duchi di Svevia, figlio di Corrado, nipote di Federico 2°
che veniva per riconquistare gli aviti possessi delle due Sicilie”. Purtroppo
però per i suoi seguaci il 23 Agosto 1268 Corradino fu sconfitto a Tagliacozzo,
condotto prigioniero a Napoli e giustiziato il 29 Ottobre. I nemici di Uberto
fecero allora terra bruciata attorno a lui, costringendolo il 24 Ottobre1268 ad
arrendersi, uscire da Borgo e ritirarsi nella rocca di Gisalecchio in Valmozzola.
In quell’occasione “quegli stessi Cremonesi, che il Pallavicino aveva condotto
alla vittoria contro Parma per vendicare il perduto Carroccio, vilmente si
gettarono sopra Busseto, siccome capitale dello Stato, e lo misero a sacco,
intanto che i Parmigiani…smantellavano de’ suoi forti il castello di San
Donnino”. Uberto nel poco tempo che gli rimase di vita stette con la moglie
Sofia, sposata in seconde nozze dopo aver divorziato da Beatrice de’ Ranieri dei
conti della Gherardesca di Pisa ripudiata perché sterile. Da Sofia aveva avuto
un figlio maschio, Manfredino, e quattro femmine, Giovanna, Maria, Margherita e
Isabella. Il 29 Aprile 1269 Uberto dettò il suo testamento, lasciando erede il
figlio Manfredino e, cosa che fece pensare ad una sua conversione, disponendo di
diversi pii lasciati a varie abbazie e chiese. Alcuni giorni dopo, esattamente
l’8 Maggio 1269 Uberto moriva. Considerato un innovatore nell’arte militare, uno
dei primi capitani delle Compagnie di ventura, Uberto rappresenta per il Seletti
una sintesi del suo tempo, “guelfo e ghibellino, ora alleato del popolo, ora dei
Nobili, sempre nella vista della Signoria contro il Comune…fedelissimo
all’Impero…; di idee alte, mirò a vasto dominio, tiranno alla volta, ma in
corrispondenza agli odi dei tempi cadde colla fortuna degli Svevi”. Il Festasio
ce ne dà un ritratto fisico e morale: “maestà nell’aspetto, la statura non
piccola né grande, la disposizione dei membri ben proporzionata, che gli
imprimevano un eccellente gravità, l’occhio aveva grande et nero, come un
carbone spento, i capelli et barba di simile colore, i denti bianchissimi: era
di faccia bruno, ardito d’animo, paziente et umano et di valore di corpo non vi
fu chi l’aguagliasse a quei tempi, fu vers’ognuno cortesissimo, et di profonda
benignità, ma ne’ l imprese importanti severo”. Le ceneri di Uberto il Grande
furono poste nella chiesa di Gisalecchio.
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